domenica 30 dicembre 2012
Aston Martin One-77
Una meraviglia inglese, l'Aston Martin One-77. Prodotta a partire dal 2009, fu prodotta in soli 77 esemplari (da cui deriva parte del nome). Il telaio è un monoscocca fatto in fibra di carbonio, mentre la carrozzeria è in alluminio lavorato artigianalmente; lo spoiler posteriore è a scomparsa
Il motore è posto davanti, un V12 aspirato in lega d'alluminio ultraleggera da 7.3 litri di cilindrata, doppio albero a camme in testa, 4 valvole per cilindro. La potenza in grado di sviluppare è di ben 750 cavalli, e 750 Newtonmetri di coppia massima. L'accelerazione è ottima: da 0 a 100 km/h in 3,7 secondi, per una velocità massima di 354 km/h (!!!)
Il cambio è a 6 marce, manuale o automatico impostabile a proprio piacimento, è provvisto di un sistema di controllo elettro-idraulico.
L'impianto frenante è un modernissimo e prestante sistema con dischi carboceramici con 6 pistoni per disco e raffreddamento ad aria. Non poteva mancare ovviamente l'ABS, ma tra gli altri sistemi di controllo elettronico c'è anche il DSC (Dinamic Stability Control), l'EBD (Electronic Brakeforce Distribution) e l'EBA (Emergancy Brake Assist), oltre al controllo di trazione.
Oltre alla versione “base” (anche se chiamarla base sarebbe un'offesa), esiste anche una versione da 12 clindri del valore di 1 milione di euro. Un esemplare unico assemblato completamente a mano dai meccanici della Aston Martin. La potenza di questo mostro è di 700 cavalli (dite che basti?).
Non è un'auto che prenderà piede tra i consumatori “normali”, ma è importante perchè probabilmente molti concetti di questo modello verranno applicati alla nuova generazione di auto Aston Martin, a partire dalla DB9.
giovedì 27 dicembre 2012
Alfa Romeo TZ3
La TZ3 è la terza serie del modello TZ (la sigla sta per “Tubolare Zagato”) ed è nata in omaggio del centenario dell'Alfa Romeo, in contemporanea con il novantesimo anniversario di Zagato. È proprio la carrozzeria Zagato infatti che ha prodotto questo modello, non l'Alfa. I modelli della TZ3 sono due: Corsa e Stradale, quest'ultimo prodotto in soli 9 esemplari, sono tutti già stati venduti.
Il progetto TZ3 è anche un omaggio alla solida e consolidata collaborazione tra i due marchi (Alfa Romeo e Zagato); nel 2010 debutta il primo modello, la TZ3 Corsa; lo stesso anno due carrozzerie storiche come Bertone e Pininfarina rendono omaggio alla casa milanese con la Pandion e la 2ueottanta. Un anno dopo viene presentata la TZ3 Stradale.
La TZ3 Corsa è un concept automobilistico, di conseguenza anticipa un po' il design della stradale; la base è quella della Giulia, come per molte altre vetture dell'Alfa. È stata realizzata completamente a mano e non è, come spesso accade, solo un esercizio di stile, ma una vera e propria auto da competizione e l'unico possessore dell'unico modello realizzato è un certo Martin Kapp, milionario patito per le Alfa firmate Zagato, nonché collezionista.
La linea della TZ3 è molto caratteristica, estrema e slanciata verso il dietro; ricorda un po' la SVS Codatronca TS, di Ercole Spada. Comunque non si può catalogare come una berlinetta, perché il corpo vettura è rivolto al mondo delle gare su pista, inoltre la coda è tronca, simile a quella della Ferrari 250 GT Drogo. La carozzeria è in lega d'alluminio leggera lavorata a mano, il telaio in fibra di carbonio (come anche quello dell'Alfa 4C e della 8C) rinforzato da una struttura tubolare in acciaio.
domenica 23 dicembre 2012
Tesla Roadster, un'elettrica dalle prestazioni da supercar
Questa sportiva compatta è molto interessante dal punto di vista stilistico, a livello formale e di motore; ricorda molto una lotus. È un'auto elettrica prodotta dal 2008 con motore asincrono monofase e monomarcia. Il motore elettrico porta la Roadster ad una velocità di 200 km/h limitati elettronicamente, con un'accelerazione da 0 a 100 km/h in 3,9 secondi, anche grazie al peso ridotto della vettura.
Si può scegliere tra ben 5 modalità diverse di guida:
Maximum Performance
Maximum Range
Standard
Storage
Valet
La batteria ha un'autonomia di 400 km e per ricaricarla impiega circa 2 ore e mezza (ovviamente si può stare anche meno tempo se non è necessaria una ricarica completa, ma solo sufficiente per arrivare fino alla propria abitazione, per esempio); con l'impianto elettrico di casa invece i tempi di ricarica sono intorno alle 10 ore. I freni di auesta macchina hanno un impianto molto intelligente, che consente di accumulare energia grazie alla frenata; questa soluzione è gia stata adottata anche da alcune auto giapponesi, ma non ha ancora preso piede nel resto del mondo.
La carrozzeria è realizzata in fobra di carbonio, in collaborazione con la Lotus, da cui riprende leggermente la linea, in particolare con la Lotus Elise 2° serie.
Come ogni sportiva che si rispetti, la Roadster è disponibile in più versioni: la versione Sport ha prestazioni migliori, arrivando a 288 cavalli, sospensioni regolabili, pneumatici più performanti e accelerazione da 0 a 100 in 3,7 secondi, ovvero 2 decimi in meno rispetto alla versione base.
Il costo della versione base si aggira intorno ai 100 mila dollari,circa 76.000 €.
giovedì 20 dicembre 2012
Alfa Romeo Montreal
La Montreal è stata presentata nel 1967 in Canada al centenario della federazione canadese (il nome deriva proprio da questo evento). L'unica italiana era proprio lei, l'Alfa Romeo Montreal; fu definita la massima aspirazione dell'uomo in fatto di auto. Venne prodotta dal 1970 al 1977, ma all'inizio era stata pensata per restare una “prova d'artista” e avrebbe dovuto fermarsi a soli 4 prototipi, ma lo scalpore che fece e la richiesta da parte dei concessionari americani fecero sì che essa venne messa in produzione.
Per il motore all'inizio si pensò al bialbero 1.6 della Giulia, ma poi si optò per un V8 da 2.6 litri a carter secco dell'Alfa Romeo 33 Stradale da 200 cavalli, per una velocità massima di 224 km/h e un'accelerazione da 0 a 100 in 7 secondi. La variazione del motore comportò delle modifiche nel cofano per far entrare l'ingombrante V8. Uno dei problemi iniziali si manifestava durante le curve, in cui l'auto soffriva di vuoti di accelerazione, dovuta all'impostazione dei carburatori; problema che venne risolto adottando un sistema di iniezione meccanica.
Il cambio era un 5 marce ZF invertito, che era il massimo che si potesse pretendere all'epoca in fatto di prestazioni; scelta obbligata, per poter gestire la coppia di un motore così potente
La trasmissione si rivelò il punto debole, il tallone d'Achille di questo magnifico progetto, in quanto l'autotelaio della Giulia era indaeguato per un'auto da prestazione come la Montreal.
Le vetture che venivano utilizzate per le competizioni erano portate a 3.000 cc di cilindrata per 340 cavalli.
Il prezzo restava molto alto (più di 5 milioni di lire), era quindi destinata ad un pubblico d'elite. Purtroppo ci si mise anche la crisi del petrolio, che contribuì a far sì che quest'auto non avesse il successo sperato. In totale ne vennero prodotte quasi 4.000 unità, di cui solo 50 nell'ultimo anno di produzione.
lunedì 17 dicembre 2012
Nascita dei rally in Italia (III° Parte)
Le auto? Per Lipizer furono Lancia
Appia, Fiat 600 e 850, poi ancora Lancia, ma Fulvia berlina e poi
Flavia coupé preparate da Bosato di Torino e Trivellato di Vicenza.
Successivamente Alfa Giulia GT Autodelta e Fiat 125 ufficiale. “I
rally - ricorda Lipizer - mi hanno insegnato a tenere duro, a non
gettare mai la spugna. Anche perché bisognava fare davvero miracoli
con le nostre automobili, poco diverse dalle vetture di tutti i
giorni, con potenze da ridere. Si correva di notte e su strade quasi
sempre sterrate con gomme da neve. E poi, a differenza dei rally
moderni, bisognava macinare centinaia, migliaia di chilometri con
interminabili marce di avvicinamento”. Oggi i rally assomigliano ai
gran premi. Le gare sono molto più condensate e brucianti e le auto
hanno potenze strepitose, superiori ai 400 cavalli, nonostante la
drastica riduzione degli anni Ottanta quando le più potenti, come la
Delta S4, raggiungevano i 700 cavalli e pesavano appena 900 chili.
“Ai miei tempi - racconta Lipizer - c'erano gli amici che ci
seguivano per l'assistenza, si mettevano in ferie dalle rispettive
occupazioni e partivano da casa insieme ai piloti, come per un
viaggio, una gita. Con loro studiavamo il percorso, compivamo una
prima ricognizione. Poi stabilivamo i passaggi cruciali, dove
dovevano aspettarci con le gomme, il cacciavite le lanterne, pronti a
darci una mano”.
Ben diversa l'organizzazione dei rally
moderni dove l'assistenza è ammessa solo nel parco chiuso. Anche le
distanze sono contenute, spesso circoscritte in aree limitate per
ridurre i permessi di attraversamento ed eventuali proteste del
pubblico, oggi purtroppo più frequenti rispetto a mezzo secolo fa.
Se un'auto moderna da rally può raggiungere in un baleno i 210, le
berline da rally anni Sessanta erano cammelli per lunghe traversate.
Senza accelerazioni brucianti e differenziali elettronici per
controllare la trazione in uscita, permettendo di scaricare sulle
ruote tutta la potenza e raddrizzare rapidamente l'auto dopo la
derapata.
“Tutti questi cavalli - ricorda
Lipizer - erano assolutamente inutili sulle strade sterrate anni
Cinquanta e Sessanta perché se c’era troppa potenza l'auto si
intraversava alla minima accelerata”. E precisa: “Io per
controllare la sbandata non usavo l’elettronica ma il freno a mano
e il mio navigatore prendeva certe paure che a volte perdeva tutte le
carte”. Anche le spese erano diverse. Correre è sempre costato
caro, ma oggi più di ieri. Calcolando uno stipendio medio di 40, 50
mila lire al mese del l960, Lipizer spiega che un anno di corse
poteva costare un milione delle vecchie lire ogni anno.
“Un giorno ero a corto di moneta e
fortuna volle che vincessi una gara in Val d'Aosta. Il casinò di
Saint Vincent mi mise in mano una fiche da 500 mila lire. Erano
soldi. Con una cifra così si comprava una Fiat 500 nuova di zecca.
Ricordo che ero molto tentato dalla roulette, ma temevo di
mangiarmeli. Alla fine dissi a me stesso: ‘Sergio, questo è il
frutto della vittoria, ti meriti un divertimento’. Andai al tavolo
da gioco, puntai la fiche e vinsi. Ammetto di essere un uomo
fortunato”.
Quanto alla sicurezza, le precauzioni
erano per lo più decorative. I piloti anni Sessanta potevano correre
senza cinture di sicurezza, con la giacca di tweed o il maglione di
cachemire invece della tuta ignifuga ad altissima resistenza. Nemmeno
i rollbar erano obbligatori e quasi nessuno li utilizzava.
Per non parlare dell'impianto anti
incendio sull'auto, che oggi è obbligatorio e nei primi rally
nessuno aveva. “Quando andava bene, avevamo un piccolo estintore”.
Nascita dei rally in Italia (II° Parte)
Intanto Cavallari cresceva. E Mario
Angiolini gli propose di partecipare al Rally di Montecarlo con una
Flaminia del Jolly Club. “Era una nave, pesante, larga, pacioccona.
Centoventi cavalli per una tonnellata e quattrocento chili di
macchina. Un bisonte con le ruote. Frescobaldi, anche lui della Jolly
Club, fece il nono assoluto con la Flavia coupé, io il
diciannovesimo con la Flaminia e Cesare Fiorio (futuro direttore
sportivo Lancia, Fiat e Ferrari) usci di strada, rotolando giù da
una scarpata perché aveva voluto strafare". Ma in Italia i
rally stentavano a decollare. C’erano solo gare di regolarità con
medie da tenere, magari anche tirate, come osserva Cavallari. “ma
era pur sempre roba da ragionieri del volante e non da velocisti,
chiunque ce la poteva fare. Insomma, vinceva chi era più bravo a
passare nel momento giusto, anche perché non c'era la precisione
nevrotica al centesimo di secondo richiesta ai giomi nostri”.
Così Cavallari, insieme ad Angiolini,
Salvay e Stochino organizzo una petizione alla Csai per chiedere la
divisione delle gare in due specialità: da una parte il campionato
di regolarità, dall'altra il campionato rally. Dal l96l in poi, per
seguire queste nuove gare, sul ciglio delle strade tornarono a darsi
raduno decine di migliaia di appassionati con giubboni, coperte,
termos, scaldandosi davanti a piccoli falò, a volte improvvisando
allegri concerti con la chitarra. Insomma un grande happening quando
ancora non erano di moda le notti bianche, ma tutto al più si
sognava l'Isola di Wight.
La marcia in più dei rally rispetto
alle gare in autodromo era proprio questa: la partecipazione della
gente e la possibilità di avvicinare le auto, i piloti, i meccanici,
insomma il contatto stretto con la corsa.
Già allora, trent'anni fa, seguire
certi gran premi in autodromo era come osservare i pesci in un
acquario. Tutt'altra cosa la presa diretta del rally, l'assistenza, i
meccanici, l'atmosfera più semplice e
diretta, meno filtrata. Una dimensione
ben nota a Sergio Lipizer, 83 anni, anche lui campione anni Sessanta.
Nato il 14 settembre 1923 ha corso dal 1955 al 1972 su varie auto,
sempre italiane. E' stato campione italiano di classe nel 1963, su
Abarth 850. Ed ha vinto numerosi campionati regionali e triveneti.
Anche per lui, come per Cavallari, la prima gara fu a metà dei
Cinquanta. “Ne1 1955 papà Ferruccio mi invitò a partecipare al
Rally del Piave a bordo di una Lancia Appia. All’epoca, più di
mezzo secolo fa, i rally non erano molto numerosi. Erano prove di
regolarità che bisognava percorrere rispettando precisamente il
tempo imposto, possibilmente spaccando il secondo. Diciamo che
ricordavano molto le competizioni di regolarità che oggi avvincono
molti proprietari di auto storiche. I rally veri e propri iniziarono
nei primi anni Sessanta. quando vennero introdotti tratti di strada
di velocità pura, rigorosamente chiusi al traffico, che poi verranno
chiamati prove speciali”.
Nascita dei rally in Italia (I° Parte)
“Volevo fare la Mille Miglia del l957
ma a Guidizzolo, vicino Mantova, accadde un incidente gravissimo e la
gara venne abolita per sempre. Cosi mi ritrovai a correre i rally”.
La confessione di Arnaldo Cavallari, 74 anni, considerato il padre
del rallismo italiano, inquadra bene le condizioni sportive che, dopo
l’abo1izione delle grandi corse su strada decretata dalla fine
degli anni Cinquanta, permise ai rally di affermarsi prima come prove
di regolarità, poi di velocità.
Cavallari, nato il 13 luglio 1932 a
Fiesso Umbertino (Rovigo), e stato il primo grande interprete
italiano di questa specialità, al volante di Alfa Romeo, Abarth,
Lancia, Renault, Porsche.
Ha vinto il titolo di campione italiano
nel 1962, 1963 e 1964 su Alfa Romeo, nel 1968 e 1971 su Lancia. Uomo
di gusto e talento, si e laureato in Economia e Commercio ed ha
portato in gara per la prima volta Sandro Munari, rivelandolo al
grande pubblico. Nel primo campionato universitario di Modena (21
marzo 1954) si aggiudicò la categoria su Fiat Topolino C
Giardinetta.
“Fra i partecipanti c’era anche
Umberto Agnelli, su Fiat 1100TV e mi ricordo che ci portarono a fare
il giro d’onore insieme perché avevamo vinto le nostre classi.
Solo dopo mi spiegarono chi era”. Ma la Topolino andava piano,
troppo piano. Cosi, dopo una Stanguellini e un'Abarth Zagato 750,
arrivo una Giulietta.
“Sognavo Montecarlo, la Coppa delle
Alpi, ma in Italia i rally erano solo prove di abilità, qualcosa più
delle gimkane. Per fare davvero i rally bisognava emigrare. Mi
iscrissi alla Liegi-Roma-Liegi del 1960 con la Giulietta, una
maratona che finiva a Sofia, in Bulgaria. L'avventura durò dal 28
agosto al 5 settembre. Macinai quasi cinquemila chilometri
ininterrottamente. Senza mangiare, dormire, fare pipì. Avevo
imbottito l’auto con ruote di scorta, ricambi, valigie. Dalla
Jugoslavia in giù fu un’agonia perché le strade non risultavano
nemmeno sulle carte e c’erano pietre aguzze, valichi pericolosi,
burroni e precipizi non protetti. Continuai la gara con la marmitta
staccata che toccava terra rimbalzando, il volante che vibrava, in
costante ritardo sulla tabella di marcia. Davanti c'erano i francesi
Oreiller-Masoero, su una Giulietta TI di Conrero.
Ma poi cedettero il comando alla
Citroen ID di Trauttmann-Coltelloni, francesi pure loro. Al Brennero
l'avvocato veneziano Luigi Stochino, un pioniere dei rally e un
grande gentiluomo, convinse l'Alfa Romeo a intervenire per dare una
mano a quei due ragazzi di Adria che tenevano alto il tricolore
italiano. Arrivò un furgone attrezzato con tre meccanici. La
Giulietta entro in sala di rianimazione e poco prima del Tonale me la
riconsegnarono un po' ringalluzzita. Ma avevamo perduto troppo tempo.
Arrivai al controllo di Rovereto fuori tempo massimo. Io e il
copilota Milani iniziammo a piangere come due fontane”.
Ma il fascino di queste imprese era
rappresentato dal fatto che, dopo una settimana, la stessa auto
spremuta sulle più impervie strade d'Europa, tornava al lavoro nel
mulino gestito dalla famiglia Cavallari, ad Adria. “La Giulietta
aveva una duplice funzione: portare i sacchi di farina nei giorni
lavorativi e correre nei fine settimana”, sorride Arnaldo
ricordando con nostalgia quel modo di vivere le corse. “Vicino al
magazzino del mulino. aprii una piccola officina, la battezzai Ospa,
perché all'epoca eravamo tutti invaghiti dell’Osca. Ospa voleva
dire Officina Specializzata Preparazioni Auto. Destinai un nostro
collaboratore a meccanico specializzato. Gli esiti furono modesti ma
ci divertimmo un mondo”.
Nissan 370Z
La Nissn 370Z è uno dei modelli più sportivi in casa Nissan; prodotta dal 2009 e ancora in produzione, in Europa e America non viene venduta, ma al suo posto c'è la 350Z, che è molto simile, ma diversa rispetto alla 370Z in qualche dettaglio: per esempio quest'ultima è leggermente più arrotondata nelle curve e modificata nei fanali, che hanno conservato solo la tecnologia a led; inoltre la 370Z è più corta e leggera grazie alla sostituzione dell'acciaio a favore dell'alluminio per le componenti meccaniche.
Il motore è un V6 da 3,7 litri (da cui deriva la sigla 370) alloggiato posteriormente; sfrutta la tecnologia VVEL con valvole a doppia fasatura variabile, coppia massima di 370 Newtonmetri e potenza di 330 cavalli, che le consentono di arrivare a una velocità massima di 250 km/h con un'accelerazione da 0 a 100 km/h in 5,7 secondi; il cambio può essere manuale a sei marce o sequenziale a sette rapporti, entrambi dotati di un'innovazione che è il sistema SynchroRey, quest'ultimo ottimizza i cambi di marcia quando si scala, aumentando per un istante il numero di giri in modo che la scalata sia più fluida e le ruote non slittino, soprattutto in condizioni come asfalto bagnato o ghiacciato.
La versione Sport è dotata di un'aerodinamica più fluida, un differenziale a slittamento limitato e degli spoiler davanti e dietro che portano ad una maggiore stabilità, soprattutto in curva.
Oltre alla versione coupè è presente una versione roadster, in produzione dal 2010. Il tettuccio è reclinabile in stoffa, mentre il baule è leggermente meno capiente
Gli interni sono di qualità e abbastanza confortevoli considerando le dimensioni ridotte dell'abitacolo, con motivi circolari che si ripetono su tutta la plancia attraverso i componenti di cui è provvista.
Nel 2009 è stata introdotta la versione Nismo in America e Giappone; la meccanica è quella della 370Z coupè, solo che il motore è più potente di altri 20 cavalli rispetto alla prima. Le prese d'aria sono più ampie e lo scarico è più prestante.
venerdì 14 dicembre 2012
De Tomaso Mangusta: l'unica capace di battere il Cobra
La De Tomaso Mangusta è la prima vettura stradale della casa automobilistica modenese di Alejandro De Tomaso. Infatti le auto precedenti erano tutte progettate per le gare su pista, come la Vallelunga. Anche la Mangusta all'inizio doveva essere per la pista: nel 1965 fu realizzato un prototipo denominato “progetto P70” e presentato a Shelby sperando che la vettura venisse presa in considerazione dal team e sostituisse la Lang Cooper nella gare nordamericane; ma Shelby si dedicò alla realizzazione della Ford GT40, di conseguenza ad Alejandro restarono due possibiità: o mettere da parte tutto o modificare il progetto e renderla un'auto stradale per diventare concorrente di Lamborghini e Ferrari.
La P70 fu ingegnerizzata, modificata e finalmente messa in produzione dal 1967 al '71 col nome di Mangusta, chiara provocazione al marchio Shelby, in quanto l'animale mangusta è l'unico in grado di combattere e fronteggiare il cobra, che è il simbolo della Casa Shelby.
La carrozzeria fu disegnata da Giorgetto Giugiaro, uno dei più grandi designer di automobili di sempre, insieme a Raymond Loewy. Il disegno era riciclato da un vecchio progetto scartato dalla Iso Rivolta e adattato al telaio della Mangusta
Il telaio era un monotrave in alluminio come quello della Vallelunga, con motore centrale posteriore, classico delle auto da competizione di quegli anni. Altre chicche erano le sospensioni indipendenti sulle ruote, freni a quattro dischi a circuito sdoppiato e ruote in magnesio
Il motore era un potente Ford V8 da 4.7 litri di cilindrata, elaborato da De Tomaso, che arrivava a 306 cavalli, rivestito da una carrozzeria con portiere molto particolari, con apertura ad ali di gabbiano, soluzione che non fu molto azzeccata, in quanto il peso era sbilanciato al 68% sul retrotreno a discapito della stabilità. Tuttavia l'eccelente rapporto peso-potenza le permetteva di sfidare la magnifica, stupenda Lamborghini Miura.
mercoledì 12 dicembre 2012
Omaggio a Colin Chapman, fondatore della Lotus
lunedì 10 dicembre 2012
Tronatic Everia
Questo è un prototipo realizzato da uno studio di design francese molto all'avanguardia e amante della tecnologia. Le linee sono quelle di una coupè, con un cofano non troppo lungo, che ricorda un po' le fastback americane degli anni '60. Infatti quest'auto estremamente moderna prende molto spunto dalle classiche, ma con un re-design estetico/formale degno di nota. L'idea di modernità, ma anche futuristica, è data dalle linee in metallo grigio che scorrono lungo tutta la vettura conferendole un aspetto da androide, quasi un robot, oltre agli interni molto futuristici anch'essi, col volante che ricorda molto quello di una navicella spaziale, cromaticità nera e grigio metallizzato e luci a led blu in ogni tipo di informazione; comandi al volante e uno schermo sul cruscotto che mostra molte informazioni utili sullo stato del mezzo e sulle condizioni di guida.
Gli specchietti retrovisori sono solo un prolungamento lungo e stretto della carrozzeria, all'estremità del quale è fissata una piccola telecamera che manda l'immagine sullo schermo principale; inoltre le maniglie delle portiere non sono a vista, ma spariscono nella carrozzeria conferendo maggior linearità alla forma.
Non si sa ancora se questo resterà solo un progetto di studio o se verrà realizzata da qualche casa automobilistica, fatto sta che anche se non dovesse venire prodotta, è una concept car molto innovativa e non escludo che alcune delle soluzioni introdotte in questo caso non possano essere riutilizzate anche per qualche altra vettura in futuro.
Vermot Veritas RS III
Vettura supersportiva che pare uscita da un film di Batman, prodotta dalla casa automobilistica tedesca Veritas dal 2009 e simbolo della rinascita del marchio dopo oltre 50 anni di inattività.
La carrozzeria è in fibra di vetro e kevlar; alquanto inusuale come scelta, predilige la leggerezza. Inoltre, grazie all'assenza dell'ABS, del parabrezza e di tutti i dispositivi elettronici che servono ad agevolare il guidatore (a danno del comfort di guida), il peso è ridotto a soli 1080 kg.
Non si vede, ma il sedile del passeggero c'è, è solo coperto da un pannello che permette di diminuire ancora di più l'attrito aerodinamico. Un'altra particolarità è che il pavimento è in legno, questa scelta a mio parere è incoerente, in quanto hanno fatto di tutto per alleggerire la vettura, rinunciando a cose come l'ABS e il controllo dell'accelerazione, per poi appesantire il tutto con pavimento in legno. Allora, o facciamo una macchina sportiva o la facciamo elegante, o al limite una macchina sportiva ma con molti comfort ed elettronica.
I comandi sono realizzati e aggiustati su misura del guidatore. Lo sterzo (ovviamente) risulta impreciso in curva a grandi velocità, non avendo nessun aiuto elettronico; ancora resi inutili gli sforzi di progettare un'auto veloce e potente, ma con poco controllo.. “La potenza è nulla senza il controllo” cit.
Il motore è un V8 da 4 litri della potenza di 473 cavalli, derivato da quello della BMW M3, ma reso ancora più potente rispetto all'originale, che era di “soli” 420 cavalli. L'accelerazione è bruciante: l'auto passa da 0 a 100 in soli 3,6 secondi e arriva ad una velocità di punta di 350 km/h.
Io credo che sia più un colpo di coda di un'azienda finita molto tempo fa. Particolare, ma poco valida per tutti i motivi che ho elencato prima; per carità, interessante come forma e bella da vedere, ideale per chi vuole farsi notare. Ah, per chi è curioso di saperlo, il prezzo di listino è 342.000 €.
domenica 9 dicembre 2012
De Tomaso Vallelunga
Automobile rara e preziosa, la Vallelunga, preziosa per molti motivi, rara è un dato di fatto, visto che in totale ne sono state costruite 55 esemplari, tutti a mano artigianalmente e con i poche mezzi di cui era provvista la piccola fabbrica De Tomaso tra il 1965 e il 1967 (ma una prima versione spyder fu realizzata nel 1962). Era il primo modello dell'azienda De Tomaso destinato alla circolazione su strada. Un delle particolarità è quella di essere la seconda vettura al mondo a montare un motore centrale (un Ford Cortina da 78 kW). Il motore è un 1.6 e pesa circa 600 kg; in grado di portare la Vallelunga a una velocità di 215 km/h.
Il telaio è un monotrave in alluminio, il quale collega l'avantreno al motore posteriore portante; la carrozzeria è in fibra di vetro.
Interni eleganti ma essenziali, rivestimenti dei sedili in pelle, volante a tre razze con bulloni a vista
Purtroppo, come era intuibile, l'assetto è molto rigido e basso, a volte non resta troppo incollata a terra e perde un po' di grip. Il rombo del motore è bello pieno, carico, intenso, fa percepire il lavoro che c'è dietro alla costruzione del singolo esemplare da parte di meccanici esperti e preparati.
In effetti la specialità del marchio argentino De Tomaso erano le piste, infatti questo modello è un po' carente di comfort, ma è dotata di un fascino unico nel guidarla; trasmette tutto lo spirito corsaiolo di cui ha bisogno un vero sportivo per emozionarsi.
Dodge Viper
La Viper venne presentata nel 1991,
debuttando come pace car alla 500 miglia di Indianapolis; venne
commercializzata l'anno successivo e i modelli disponibili erano la
roadster e la coupè (quest'ultima denominata GTS). Probabilmente
l'ispirazione di questo modello fu data dalla A C Cobra; una
particolarità della versione coupè era il tettuccio a doppia bolla,
ovvero bombato in corrispondenza delle teste dei conducenti, in modo
che si riuscisse a starci dentro comodi anche indossando il casco;
infatti quest'auto riscosse molto successo tra le corse, in
particolare su gare di accelerazione, su strada e nella gare di
drift, ovvero quelle di sgommata, popolari in giappone e nel mondo da
dopo l'uscita del famosissimo film “Fast and furious Tokyo drift”.
Nei primi sei anni di produzione ne vennero vendute 10 mila.
La configurazione di quest'auto è la
tipica spider americana, con motore davanti e trazione posteriore, a
discapito della controllabilità in accelerazione e in curva.
Il motore era un V10 originario di
veicoli da truck, riadattato dalla Lamborghini; come materiali, venne
realizzata una lega leggera di alluminio, al posto di una più
pesante dell'originale; questo rese molto più leggera la vettura.
Inoltre si passò da 2 a 4 valvole per cilindro, da buon motore
sportivo che si rispetti. Alla fine di tutte queste modifiche, il
motore sviluppava 400 cavalli e 664 Newtonmetri di coppia, grazie
alla quale si potevano utilizzare rapporti lunghi, riducendo così
anche i consumi, a patto di non eccedere troppo sull'acceleratore. La
velocità massima è di 264 km/h.
Una variante della coupè fu introdotta
nel '96; denominata Viper GTS, con un motore da 450 cavalli e
un'accelerazione ancora maggiore della Spider.
Nel 2003 invece, ci fu una
rivisitazione, la Viper SRT-10, rimodernizzata nel design e
migliorata nel motore; quest'ultimo è un V10 da 8.3 litri di
cilindrata a iniezione elettronica, capace di sprigionare oltre 500
cavalli, con un'accelerazione da 0 a 100 km/h in 3,9 secondi e
velocità di punta di 312 km/h.
Altra versione degna di nota, nel 2007,
la Dodge Viper 2008, con motore pressoché della stessa cilindrata,
ma potenza aumentata a 600 cavalli; la particolarità è data dallo
spoiler e dalle prese d'aria maggiorate. Venne prodotta fino al 2010,
poi uscì di listino.
Ultima, nel 2012 una concept car
firmata SRT. Il design è un'evoluzione delle versioni precedenti,
mentre gli interni sono più raffinati e lussuosi rispetto a quelli
più spartani delle versioni precedenti.
Motore ovviamente più potente, ma
sempre stessa cilindrata, arriva a 650 cavalli, con un'accelerazione
da 0 a 100 in 3,6 secondi e velocità di punta di 325 km/h.
Ovviamente l'elettronica è stata rimodernizzata e dotata di molti
comfort per aiutare il guidatore.
Personalmente a me non fa impazzire come forma, è troppo accentuato il muso lungo davanti e poco spazio nell'abitacolo. Anche le curve sono molto accentuate, poco delicate insomma. Si vede il gusto prettamente americano.
venerdì 7 dicembre 2012
Storia delle auto italiane nel dopoguerra (II° parte)
Grazie a Pinin e Sergio Farina, che
parcheggiarono un'Alfa Romeo Sport 2500 e una Lancia Aprilia davanti
al salone dell'automobile di Parigi, nel 1946, si accesero i
riflettori sulla nuova scuola italianadello stile automobilistico,
che passò in primo piano a livello mondiale, già nel 1947con la
creazione della Cisitalia 202: una svolta rivoluzionaria
nell'evoluzione dell'automobile sportiva, tanto che dopo essere stata
esposta nel 1951 al MoMA di New York nella mostra "8
Automobiles", fu definita da Arthur Drexler "scultura in
movimento" e in seguito fu la prima vettura al mondo ad essere
perennemente esposta nello stesso museo. Pininfarina fece entrare a
pieno titolo l'automobile nel regno dell'arte e la carrozzeria in
quello dell'industria.
In tal caso è emblematica l'attività
parallela Pininfarina-Bertone, che, iniziate le produzioni di piccola
serie, si avviarono negli anni '50 a costruire centri stile
all'avanguardia e complessi industriali per la produzione di nicchia
di auto. Ambedue i carrozzieri compiono, dopo piccole produzioni come
la Maserati A6 e la Lancia Aurelia B24, la SIATA Amica e la Lancia
Aurelia B15, il salto di qualità nel 1954 con il design e la
produzione della Alfa Romeo Giulietta Spider e Sprint. Poi si
ricordano le varie Lancia, Flaminia in testa, la Fiat 124 Spider,
l'Alfa Romo Duetto, la Fiat Dino Spider, Dino Coupè e X1/9. E' il
trionfo del made in Italy, fatto di felice connubio tra creatività e
realizzazione seriale. E come non ricordare le collaborazioni dei due
marchi con Ferrari e Lamborghini? Ci vorrebbero dei libri per
trattare la quantità innumerevole di capolavori nati nel corso degli
anni.
Il risultato della collaborazione
Ferrari-Pininfarina non ha eguali nella storia dell'automobile e
rappresenta ancora oggi una delle migliori bandiere del lavoro
italiano nel mondo. Dalla Ferrari 212 Inter Cabriolet del 1952 alle
250 fra cui la GT Berlinetta "passo corto" e la Lusso, la
275 GTB, la 275 GTB4, la meravigliosa Daytona, le Dino 206 e 246, la
365 GT BB, la Testarossa, la 456 GT 2+2 fino alle ultime, tra cui la
599 GTB Fiorano, gli oltre 200 modelli nati da questo binomio hanno
sempre innovato dal punto di vista estetico e tecnico senza mai
perdere nulla dell'identità del marchio Ferrari. In parallelo alla
dialettica coi clienti industriali, inizia dagli anni '50 la
realizzazione dei prototipi di ricerca, le cosiddette concept cars,
un modo attraverso il quale i carrozzieri italiani hanno espresso e
continuano ad esprimere la loro capacità di innovazione.
Vari sono stati i settori cui la
ricerca applicata si è rivolta, dall'aerodinamica alla tecnica,
all'ecologia, alla sicurezza, al comfort, a nuove archtetture, fino
allo studio di nuove forme di mobilità urbana ed extraurbana, per
non dire della ricerca in campo formale, quella per cui noi italiani
siamo tanto famosi.
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giovedì 6 dicembre 2012
Storia delle auto italiane nel dopoguerra (I° parte)
La guerra alla quale l'Italia era stata
gettata nel giugno 1940 mise in discussione il lavoro dei nostri
carrozzieri: le varie officine passarono dalle fuoriserie alla
produzione di camion, autocarri, ambulanze, sedili per l'aviazione,
cucine da campo, marmitte... Alla fine della guerra però, l'Italia
era in ginocchio. I più intelligenti tra i carrozzieri capirono che
era conveniente dar vita a complessi industriali specializzati in
costruzioni di carrozzerie per automobili o scocche per autocarri e
pullman.
In Italia l'industria automobilistica
del tempo, la Fiat, la Lancia e l'Alfa Romeo ci sostenne con
possibilità di commesse; all'estero non andò così e questa è una
delle ragioni della scomparsa dei carrozzieri europei e del
confermarsi della carrozzeria italiana come fenomeno rimasto unico al
mondo. Merito anche di Vincenzo Lancia, scomparso nel 1937, grande
tecnico, osservatore e scopritore di talenti, che scommise, affidando
loro lavoro dopo lavoro, sia su Pininfarina, sia su Giovanni Bertone.
Quest'ultimo, trasferitosi a Torino nel 1907, aveva lavorato alla
Diatto e poi aperto bottega nel 1912 per conto suo, per riparare e
costruira carrozze. Nel 1921 aveva vestito la sua prima automobile su
telaio SPA e Lancia fu decisivo nell'incoraggiarlo ad ampliare la sua
attività.
Poi furono anche le corse a dar vita ad
altri carrozzieri, basta pensare alla Touring, nata nel 1926 con
Felice Bianchi Anderloni e diventata famosa negli anni vestendo
macchine da competizione dell'Alfa Romeo, dove lavorava il grande
Enzo Ferrari che, nel 1939, lasciata la casa milanese, tornò a
Modena e fondò quella che ancora oggi è l'azienda mito
dell'automobile in tutto il mondo.
Un altro bravissimo protagonista fu
Giovanni Michelotti, che entrò sedicenne agli Stabilimenti Farina e
poi divenne valente libero professionista lavorando per Vignale,
anche questo un grande nome scomparso.
Ma ritorniamo al dopoguerra: i
carrozzieri di valore avevano sofferto e stretto i denti, ma non si
erano arresi. Erano pronti alla riscossa con qualche progetto nel
cassetto, forse studiato sotto le bombe.
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lunedì 3 dicembre 2012
Ariel Atom, un pò auto e un pò go-kart
Quando si parla di automobili di solito si pensa a quelle che circolano per le strade, quelle con una carrozzeria, dei posti a sedere oltre a quello del conducente, finestrini e via dicendo. Certo, la maggior parte delle auto è così, ma non dimentichiamo che un qualsiasi veicolo dotato di un motore e guidato da una persona è un'automobile. O forse non è detto che debbano essere guidate da una persona, dato che esistono già prototipi di automobili autonome nella guida e in grado di circolare nelle strade senza bisogno di essere guidate da persona fisiche, ma questo è un altro discorso.
Il fatto è che non bisogna dimenticare i veicoli singolari e unici come per esempio la Ariel Atom, che è molto diversa dalle auto che siamo abituati a vedere, ma non per questo meno interessante, anzi, lo è ancor di più. La cosa più interessante è che la carrozzeria non esiste, in quanto il telaio funge da scocca e carrozzeria; di conseguenza non ci sono finestrini, porte, tettuccio, niente di niente. Praticamente è un go-kart (però più potente degli altri go-kart), oppure, se proprio vogliamo dargli una categoria, una “barchetta”.
Il motore è un derivato della Honda Civic Type-R, elaborato per l'occasione da Mugen per la Ariel Ltd; la potenza è di 245 cavalli, ma c'è anche una versione sovralimentata da 300 cavalli. Il fatto è che questa macchina pesa solo 500 kg, in quanto c'è solo il minimo indispensabile per renderla un'auto da corsa, quindi il rapporto peso/potenza è decisamente basso (500 CV per tonnellata). Come velocità massima la Ariel Atom arriva a 240 km/h, che non è tantissimo se si considera che è studiata per la pista, ma bisogna considerare che è piccola e bassa, di conseguenza la velocità percepita è maggiore. Inoltre, essendo molto leggera, ha un'accelerazione spaventosa (3 secondi per la versione base e 2,6 secondi per la versione da 300 cavalli) ed è estremamente maneggevole e reattiva, qualità che manca ad altre supercar.
Nel 2008 è arrivata anche la Atom 500, una versione ancora più potente, con un motore V8 da 3.000 cc di cilindrata, al posto del 4 cilindri 2.000 della versione originale. In realtà il motore è composto da due motori 4 cilindri della Suzuki Hayabusa saldati insieme. La potenza di questo motore è di ben 500 cavalli e il peso totale della vettura è di 550 kg, quindi un rapporto peso/potenza di 1,1 kg/CV. A dir poco spaventoso! Per non parlare dell'accelerazione; il dato è sconvolgente: 2,3 secondi per passare da 0 a 100 km/h (!!!) e velocità massima 270 km/h.
sabato 1 dicembre 2012
Pagani Huayra
Questo modello è costato la bellezza di 7 anni di lavoro a tutto il team di Horacio Pagani, imprenditore e designer di origine Argentina, che poi si è trasferito in Italia e ha fondato il prestigioso marchio Pagani.
Le origini della Huayra nascono nel 2003,lo stesso anno nel quale venne presentata la Zonda S Roadster. Quelli erano anni importanti, in cui le case automobilistiche facevano a gara a chi creava la supersportiva migliore, o più potente, oppure la più veloce. Nasceva in quel periodo anche la Bugatti Veyron, la Ferrari Enzo, la Porsche GT e molte altre supercar.
La forma della Huayra prende ispirazione dall'aria nelle sue varie espressioni; il team Pagani ha cercato ogni ispirazione aerodinamica per creare un concetto nuovo per il settore automobilistico, e in effetti la linea di questa vettura è alquanto insolita e singolare. Volevano creare la sensazione di essere dentro a un velivolo.
La parte creativa della progettazione richiese moltissime energie, oltre che la realizzazione di 8 modellini, 2 prototipi e quintalate di disegni. Le curve dovevano avere un inizio e una fine netti, inoltre sono presenti forme ellittiche, mantenendo una coerenza formale con lo stemma della Casa.
Il motore è stato sviluppato da Mercedes, con un lavoro a dir poco eccezionale: un V12 biturbo da 700 cavalli e 1100 Nm di coppia, conferendo la sensazione di essere in un aereo in fase di decollo. La velocità massima dichiarata dalla Pagani è incredibile: 370 km/h!!! Il tutto con un'accelerazione costante e progressiva.
Una cosa interessante è che la lubrificazione è a carter secco, in modo da eliminare la coppa dell'olio e poter quindi posizionare il motore più in basso possibile, per ridurre il centro di gravità e migliorarne quindi ulteriormente la stabilità. Il cambio è sequenziale a 7 marce trasversale.
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