lunedì 6 agosto 2012

Ferrari 250 GTO




Il gioiellino Ferrari. Considerata da sempre la Ferrari per eccellenza, questo modello è nella bibbia di qualsiasi appassionato di auto d'epoca (probabilmente in copertina). Prodotta a partire dal 1957, resta tuttora una della automobili più famose di tutti i tempi. Il nome, 250, è la cilindrata di ciascun cilindro, mentre la sigla GTO significa Gran Turismo Omologata. Nella prima serie furono prodotti 36 con motore di 3.000 cc e 3 vetture con motore 4.000 cc, ovviamente adesso ognuna di queste vetture vale un capitale.

Pensata per un uso su pista, la 250 GTO è il seguito della 250 GT. Il motore non era una novità, in quanto si tratta del V12 di 3.0 cc della 250 Testa Rossa, alloggiato sul telaio della 250 GTB SWB.
Il progetto è stato iniziato da Giotto Bizzarrini, che però non ebbe il tempo di finirlo perchè fu licenziato da Enzo Ferrari in seguito a un litigio tra i due; la 250 fu ripresa da Mauro Forghieri e da Sergio Scaglietti. La carrozzeria è il risultato di un'ottima e intensa collaborazione tra questi due ingegneri, non da un designer, come verrebbe facile immaginare (e sarebbe più logico)


MOTORE
Il motore è un V12 a 60° per una cilindrata totale di 2953 cc montato in posizione longitudinale. Il rapporto di compressione è di 9,7:1, mentre la potenza massima è di 295 CV.
Nel 2006 ne è stata presentata una nuova versione modernizzata, di 6.300 cc di cilindrata, 750 CV e 680 Nm di coppia.




L'AUTO PIU COSTOSA DEL MONDO
Quest'auto detiene un record: non stiamo parlando di una semplice 250 GTO, ma di una GTO del '62, costruita a Maranello per il pilota inglese Stirling Moss; è stata venduta all'asta per 35 milioni di dollari (circa 28 milioni di euro). Moss non ha fatto in tempo a provarla, in quanto ebbe un incidente nel '62 a Goodwood che gli impedì di tornare a gareggiare (ma non morì). Il collezionista che la acquistò Craig McCaw resterà nella storia per avere in garage l'auto più costosa del mondo, quella che neanche Stirling Moss ha avuto l'onore di provare.

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